Quando il licenziamento è illegittimo e anticostituzionale

Epocale intervento della Corte Costituzionale che va a smuovere due capisaldi della normativa in tema di risoluzione del rapporto di lavoro mettendone in discussione la legittimazione rispetto ai dettami della “Magna Carta”.

La normativa attuale così come sancita dall’articolo 6, comma 1, Legge 15 luglio 1966, n. 604, prevede che il licenziamento deve essere impugnato, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione e  l’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, dal deposito del ricorso o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione. Qualora la conciliazione o l’arbitrato non vadano a buon fine, il ricorso al giudice va depositato a pena di decadenza entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.

Il primo dubbio della Consulta, espresso nella Sentenza 18 luglio 2025, n. 111, ha portato a considerare costituzionalmente illegittimo – per violazione degli articoli 3, 4, comma 1, 24, comma 1, e 35, comma 1, della Costituzione – l’articolo 6, comma 1, Legge n. 604/1966, nella parte in cui non prevede che, se al momento della ricezione della comunicazione del licenziamento, il lavoratore versi in condizione di incapacità di intendere o di volere, non opera l’onere della previa impugnazione, anche extragiudiziale, e il licenziamento può essere impugnato nel complessivo termine di decadenza di 240 giorni dalla ricezione della sua comunicazione, con il deposito del ricorso o la comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o di arbitrato.

Ulteriormente la Corte Costituzionale, con il medesimo intervento n.118/225, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 1, D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alle parole “e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità” motivando la propria decisione nel senso che “il criterio del numero dei dipendenti non può costituire l’esclusivo indice rivelatore della forza economica del datore e quindi della sostenibilità dei costi connessi ai licenziamenti illegittimi, dovendosi considerare anche altri fattori altrettanto significativi, quali il fatturato o il totale di bilancio, da tempo indicati come necessari elementi integrativi dalla legislazione europea e anche nazionale, …”.

Pertanto la misura del risarcimento del danno dovrebbe rientrare nella forbice compresa tra 3 fino a 18 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR e non da 2,5 fino ad un massimo di 14 in base alla “grandezza” dell’azienda ed all’anzianità di servizio del lavoratore dipendente.

Tutto quanto  dichiarato e motivato dalla Consulta pertanto rende indispensabile ed urgente un intervento del Legislatore non solo per superare questo delicatissimo “impasse” applicativo ma anche per adeguare la normativa giuslavoristica italiana alle nuove criticità ed esigenze espresse.

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